Quello che Onorio Bravi vede quando si affaccia alle sue finestre
di Janus
Un pittore può sognare, un pittore può farsi travolgere dalle sue visioni oppure dalla realtà, un pittore può confidare nella sua cultura, in quello che ha appreso dalla sua esperienza, un pittore può indagare sulla natura del mondo oppure su se stesso, analizzare le sue passioni, può rifiutare il proprio tempo oppure accettarlo: Onorio Bravi è passato attraverso queste prove, ha afferrato manciate di colori e li ha dispersi sulla superficie della sua tela, li ha rimescolati e li ha suddivisi in frammenti, in macchie, in puntini fosforescenti, li ha fatti scorrere l’uno sull’altro come se fossero impetuosi torrenti, li ha ripresi, ha cambiato la loro disposizione nello spazio, li ha raggrumati nel centro della sua costruzione pittorica; dal magma mutevole dei suoi colori sono emerse le forme e le figure che oggi compongono i suoi quadri. Onorio Bravi non è arrivato immediatamente a scoprire la fisionomia della sua estetica, ma è passato attraverso molteplici tappe che l’hanno condotto a poco a poco a risultati di estrema raffinatezza. Cerchiamo di vedere allora come è composta oggi questa sua pittura.
In primo luogo, quando intraprende la costruzione di un quadro, la sua anima è quella di un “seminatore di emozioni”, non ha davanti a sé soltanto una superficie che deve riempire con le sue storie e con le sue immagini, ma deve dissodare la terra, scava in profondità, scende dentro una miniera, esplora le sue caverne, vuole sentire tra le dita il calore delle zolle; fa emergere dalle radici sotterranee la sua luce, che è sempre una luce interiore, una luce drammatica. Dopo il seminatore c’è l’archeologo che un poco alla volta estrae dalla sabbia del deserto - del suo deserto, del deserto dei suoi desideri, - icone corrose dal tempo, frammenti di realtà, tavolette d’argilla ricoperte da geroglifici, quello che resta di un muro o di una fortificazione, il pavimento a mosaico edificato secoli o millenni prima, dove una volta esisteva un focolare, dove uomini ormai scomparsi un tempo si riunivano. Queste immagini, che passano davanti ai nostri occhi, quadro dopo quadro, sono state proiettate sulla tela come se fossero fantasmi. Onorio Bravi sembra dipingere per riscoprire, attraverso il pulviscolo del passato, le forme viventi di una città immaginaria, i luoghi caldi e selvaggi e carichi di nostalgia di un deserto, dove un tempo si svolgeva la vita quotidiana di un’umanità scomparsa, ma le tracce, le impronte, i solchi riappaiono nei suoi dipinti, emergono dalla nebbia, ondeggiano lungo l’orizzonte, in una terra perduta, in una terra sconosciuta. Dipinge per rileggere le antiche lapidi e le antiche iscrizioni che ogni civiltà si lascia dietro nel suo percorso, ma ora occorre uno sforzo maggiore, ora arriva il momento della trascrizione e dell’interpretazione semantica dei segni.
È quello che Onorio Bravi fa attraverso la sua immaginazione, attraverso la sua tensione nervosa, per mezzo di segni impercettibili, come se tracciasse un sentiero nella penombra per arrivare alla fine nel cuore della sua foresta d’argilla. Ricompone l’eco e il suono che la terra, seminata e dissodata, conserva gelosamente.
Non è solo un seminatore, non è solo un archeologo dell’immaginazione, è l’una e l’altra cosa, diventa un decifratore di papiri che passano davanti alla sua mente nel chiuso della sua stanza. Lo immagino mentre con le orecchie contro una parete cerca di percepire il mormorio di parole antichissime che un tempo vivevano in quelle stanze ed in quelle costruzioni arcaiche o nella campagna o nei castelli che intravede in mezzo alla nebbia. Dipinge per cancellare e per rievocare. Il suo volto si illumina, quando coglie una parola o una frase, la fronte è percorsa da rughe che prima non esistevano. La vita non si è dunque del tutto spenta se c’è una pittura che la raccoglie. Onorio Bravi parla con quei fantasmi, riproduce i loro dialoghi sulla tela come se fosse uno scriba egiziano - che ha sicuramente molti rapporti con l’archeologia, - riscrive le loro storie o, semplicemente, le loro intime cronache. I suoi occhi perlustrano la notte; quando si affaccia dalle sue finestre non intravede soltanto gli squarci di una campagna solitaria o di un paese, gli alberi spogliati dal vento, le radici che fremono sotto la terra, le aiuole fiorite, i campi coltivati, i filari della vite, gli steccati, il volo degli uccelli notturni, le case sparse nello spazio, di cui potrebbe perfino riconoscere il nome degli abitanti. Quando si affaccia alle sue finestre vede apparire una processione, un mare oscuro, una fiaccolata d’anime che bussano alla sua porta e vogliono essere ricevute. Allora dice: «Questa è la mia terra, questa è la mia pittura, questo è uno scrigno che ho dissotterrato, queste sono le mie ombre
e queste sono le mie luci». Non ci sono soli e nemmeno le stelle in questo paesaggio, ma vi è la bruma, la nebbia, il crepuscolo, il tramonto, il primo chiarore dell’alba. Onorio Bravi dipinge nella penombra, in un vano segreto della sua anima, dipinge dentro una torre o una cella, come se fosse un prigioniero.
C’è infine una terza componente nel suo lavoro. Fa una pittura intimista. Ha bisogno di sentire il calore delle sue immagini.
Vede fantasmi, ma poi si dice: «Non sono fantasmi, sono le proiezioni della mia coscienza». Onorio Bravi è un pittore paziente, costruisce i suoi quadri frammento dopo frammento, come se fossero le tessere di un suo misterioso mosaico. Costruisce isole dentro ogni suo dipinto, circondate da un mare d’erba, isole sospinte dal vento o dalla malinconia, sono le isole della solitudine, fortezze abbandonate. Nell’interno vi sono sarcofagi ed altari di pietra, c’è il fiato del tempo che tutto sommerge e ricostruisce.
La sua pennellata è ansiosa ed affettuosa, cerca di districarsi in mezzo alle sue forme mutevoli ed ingannevoli. Forse, oltre la finestra, si sta svolgendo una processione o, forse, è una danza selvaggia oppure c’è un banchetto in onore di qualche principessa; forse quelle ombre stanno costruendo una piramide o un obelisco; qualcuno corre nella notte o si arrampica sulle rocce, altre stanno fuggendo o semplicemente sospirano d’amore. Poi ad un tratto quelle forme umane si trasformano in un albero o in un muro o nel pavimento di una stanza. Non sono immobili, è evidente che sono di passaggio, vengono da lontano, evocate sicuramente dalla mente del pittore, e vanno in un luogo misterioso che non ha nome, alla ricerca della loro felicità o dei loro ricordi, ma Onorio Bravi sulla soglia della sua casa, o accanto alla finestra socchiusa, le rassicura, dice: «avete lasciato la vostra impronta su questa tela, guardate i colori che tingono ancora la vostra pelle ed i vostri occhi». Chi sono in verità queste figure? Potrebbero essere statue o capitelli che hanno preso una forma umana poiché quella pittura così concisa e così tumultuosa è anche una rievocazione, ed a noi piace pensare che si tratti anche di una confessione. Onorio Bravi fa una pittura che potremmo definire liturgica, sembra che dipinga confessionali, pulpiti, tabernacoli, dove monaci tenebrosi potrebbero apparire da un momento all’altro in un lungo cammino, avvolti nelle loro tonache nere, ma dipinge anche vetrate colorate che traspaiono lungo le facciate delle sue case, illuminate da fiammelle o da candele.
Onorio Bravi è arrivato da lontano, dal suo passato, dopo un lungo itinerario, come se oggi cominciasse a dipingere per la prima volta. Ha una grande responsabilità: andare molto più lontano.
Nel subconscio di questo pittore appaiono spesso molteplici pulsioni, in parte appartengono alla sua natura ed alla sua sofferenza, in parte appartengono al mondo che lo circonda, alle sue reminiscenze personali ed alla società che lo assedia, alle sue conoscenze ed a quelle degli altri, c’è nei suoi dipinti l’eco di un’apprensione, il ricordo della storia che il tempo ha frantumato. Poi avviene qualche cosa
di paradossale e d’imprevisto nell’interno di quella pittura, che è poi l’altra sua essenza: strato dopo strato Onorio Bravi delinea una nuova forma che rievoca alla nostra memoria un nome importante nella cultura artistica e culturale della nostra civiltà, quello di romanticismo, è evidente che lo scorrere dei secoli non ha ancora del tutto esaurito il suo messaggio. C’è ancora nella nostra coscienza e nel nostro ricordo il segno di quel sentimento che a suo tempo ebbe un carattere rivoluzionario e suscitò un enorme entusiasmo tra gli intellettuali e gli artisti tra Settecento ed Ottocento.
Era allora qualche cosa di nuovo, poiché si opponeva alla tradizione ed alla staticità delle forme e delle idee. Gli uomini attraverso il romanticismo hanno appreso improvvisamente il potere dell’immaginazione, il potere del mistero, dell’ignoto, della paura, delle passioni, della generosità, del coraggio, dell’eroismo, del sacrificio. Scoprirono perfino che c’era nel mondo una diversa bellezza che prima non era mai stata vista, non più la bellezza classica o sacra, non più la bellezza che prediligeva l’ordine e la proporzione aurea, ma finalmente una bellezza che poteva essere irregolare, che si distaccava dai canoni tradizionali che da Giotto sono arrivati fino a Raffaello ed a Leonardo, ma una bellezza più torbida, una bellezza che destava stupore e meraviglia. Si era passati di colpo dalla bellezza apollinea alla bellezza dionisiaca che poi ha fatto la sua apparizione non solo nell’arte, ma anche nella letteratura e nella filosofia ed ha lambito tutto il Ventesimo secolo e perfino le sue avanguardie storiche che debbono molto al romanticismo. Un tempo la bellezza poteva essere compresa da tutti, con il romanticismo fa la sua apparizione una bellezza sconosciuta, una bellezza che invece di farsi vedere alla luce del sole si dissolve nelle tenebre, una bellezza che non era agevole descrivere, non più una bellezza fisica, ma una bellezza spirituale. Nella pittura di Onorio Bravi avviene questo fenomeno: c’è l’eco di un romanticismo rivisitato da una sensibilità moderna, c’è la ricerca dell’invisibile, dell’inespresso, c’è il fascino dell’oscurità. C’è nella sua pittura un fermento ed un mutamento che a poco a poco compie il grande attraversamento della psiche, dal primordiale al complesso, che sfiora la morte (che è un tema fondamentale del romanticismo) ed approda alla risurrezione, come se la sua pittura, dopo un lungo percorso, avesse visitato l’Oltretomba ed ora spera soprattutto di riconquistare il paradiso perduto. Il romanticismo di Onorio Bravi è anche fatto di speranza e di inquietudine; è un romanticismo molto emotivo, scosso dall’angoscia tipica della nostra epoca. Sembra che ogni quadro indichi la fine di un percorso, ma è sempre il punto di partenza verso una nuova avventura.